Nnato a Firenze il 14 gennaio 1949, Oliviero Beha è stato uno dei giornalisti più influenti e controversi del panorama italiano, simbolo di un giornalismo critico e indipendente. Con una carriera che spaziava dalla carta stampata alla radio, dalla televisione alla scrittura, ha sempre perseguito la ricerca della verità e la denuncia delle storture della società e della politica italiana. È morto a Roma il 13 maggio 2017, a 68 anni, ma il suo lascito rimane vivido e significativo.
Beha conseguì due lauree: una in Lettere, con una tesi in Storia Medievale, in Italia, e l’altra in Filosofia, ottenuta in Spagna. Questo doppio percorso accademico riflette la profondità della sua formazione culturale e la vasta gamma dei suoi interessi, che spaziavano dalla storia alla riflessione filosofica.
Iniziò la carriera giornalistica con Tuttosport e Paese Sera, per poi diventare inviato de La Repubblica dal 1976 al 1985, dove si occupò di sport e società, seguendo eventi globali come le Olimpiadi. La sua collaborazione con altre testate prestigiose come Il Messaggero, Il Mattino, La Voce di Indro Montanelli e Il Fatto Quotidiano lo consacrò come una delle voci più originali e coraggiose del giornalismo italiano.
La sua voce era inconfondibile anche in radio, dove ha condotto programmi come Radio Zorro e Radioacolori, nei quali dava spazio alle denunce dei cittadini, affrontando problematiche di rilevanza sociale. In televisione, Beha fu protagonista di programmi come Va’ pensiero e La Gazzetta dello spot su Rai 3, Attenti a quei tre su Rai 1 e Rai 3, e più recentemente Brontolo e Telepatia. La sua versatilità lo portò anche a recitare, come nel caso della miniserie televisiva I promessi sposi del 1989.
Parallelamente, Beha fu anche scrittore, saggista e poeta. Tra le sue opere più note si ricordano I nuovi mostri, una feroce critica alla mancanza di intellettuali autentici nel Paese, definiti come “una categoria più del portafogli che del pensiero”, e Un cuore in fuga, dedicato a Gino Bartali, in cui ha offerto uno spaccato inedito del campione di ciclismo. Il suo ultimo libro, Mio nipote nella giungla, è una toccante dedica al nipotino Michele.
Beha è stato un personaggio controverso anche per le sue inchieste e posizioni. Denunciò le ombre del calcioscommesse, accusando persino la Nazionale italiana del 1982, poi campione del mondo, di aver truccato la partita contro il Camerun, sebbene non furono mai trovate prove. Anni dopo, definì la sentenza di Calciopoli del 2006 un “pasticcio epocale”. Le sue prese di posizione, anche quando divisive, riflettevano una visione lucida e senza compromessi, che lo portò a essere temuto e rispettato allo stesso tempo.
Beha era sposato con Rosalia e padre di tre figli: Germana, Manfredi e Saveria. Tifoso della Fiorentina, manteneva una passione autentica per lo sport, che andava oltre il tifo, abbracciando i valori etici che spesso denunciava mancassero in quel mondo.
Alla sua morte, molti lo hanno ricordato come un esempio di giornalismo puro e libero. Fino all’ultimo, Beha ha continuato a scrivere sul suo blog, dove analizzava con acume la politica italiana e i problemi della società, dimostrando una coerenza rara e preziosa. La sua eredità resta un monito alla libertà d’espressione e alla necessità di un giornalismo al servizio della verità.